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La cessione del quinto, come saprai, è il prestito non finalizzato che ogni lavoratore dipendente può richiedere attraverso il prelievo in busta paga di quanto dovuto. La rata tolta allo stipendio del richiedente non può superare un quinto di quanto percepito netto mensilmente e l’accordo coinvolgerà anche il datore di lavoro. Egli dovrà vidimare il cosiddetto “atto di benestare” per avallare il prestito e concedere l’erogazione del finanziamento.
L’atto di benestare del datore di lavoro
Tale atto è un documento non obbligatorio che viene presentato al datore di lavoro quando un dipendente vuole procedere con la cessione del quinto. Si tratta di un documento di che viene inviato all’azienda con il quale vengono effettuati rapidi controlli dei dati dell’atto per procedere all’erogazione del prestito. Se i dati sono corretti il datore di lavoro invierà l’atto firmato e la finanziaria procederà con la cessione del quinto.
Il datore di lavoro può anche rifiutarsi di firmare tale atto ma questo non significa che il suo benestare possa essere vincolante a procedere. In altre parole non è il datore di lavoro ad accettare o meno il prestito perché tale compito spetta alla banca.
Cosa può fare in caso di cessione del quinto
Il coinvolgimento del datore di lavoro nell’istruttoria della cessione del quinto diventa necessario affinché sia messo al corrente della procedura e vigili sul prelievo in busta paga di quanto dovuto dal dipendente.
Il datore di lavoro, inoltre, dovrà procurare il certificato di stipendio attestante la situazione economica del lavoratore che fa richiesta della cessione del quinto. Tale documento contiene le voci di composizione dello stipendio e le trattenute oltre alla quota cedibile che sarà l’ammontare della rata che il lavoratore può sostenere per onorare il debito.
Il titolare è obbligato ad accettare?
Quindi quando un lavoratore chiede una cessione del quinto, il datore di lavoro riceve una notifica che lo mette al corrente. Il documento di notifica informa circa l’importo della rata da trattenere in busta paga, le coordinate bancarie ove versare la trattenuta e la data di decorrenza della cessione.
A quel punto il datore di lavoro restituirà il documento firmato e timbrato che attesti la veridicità dei dati pervenuti e ne terrà possibilmente una copia. Quanto al possibile diniego del datore di lavoro questo non è mai possibile se non in taluni e rari casi. Per legge il datore di lavoro è obbligato ad accettare il contratto di cessione del quinto del dipendente, come previsto dalla Finanziaria del 2005.
Tale normativa ha integrato la legge istitutiva della cessione del quinto precisando che il datore di lavoro controlla il rispetto dei limiti di legge del prestito, ovvero che l’ammontare della rata non superi il 20% dello stipendio netto percepito. Nel caso in cui il contratto fosse eccedente egli potrà legittimamente respingerlo comunicando il ridimensionamento della rata direttamente alla Società Finanziaria da cui proviene l’accordo.
Le competenze del datore di lavoro
Inoltre il datore di lavoro ha l’obbligo di vigilare sul pagamento puntuale delle rate perché, in questa formula di prestito, tale onere spetta proprio ad esso con trattenute in busta paga del dipendente che abbia fatto richiesta.
Nel caso di insolvenza il TFR sarà posto a garanzia del prestito. Questo significa che la banca o la finanziaria potranno utilizzare quanto accantonato dal lavoratore rispetto al Trattamento di Fine rapporto per ottenere indietro la somma prestata.
Tra gli obblighi del datore di lavoro vi è anche quello di presentare i documenti attestanti la solidità aziendale. Questi dovrebbero includere:
- la retribuzione mensile del dipendente,
- le informazioni sulla cifra accantonata come TFR,
- l’ammontare delle trattenute previdenziali ed assistenziali e quelle relative all’IRPEF,
- la stabilità finanziaria aziendale tramite apposita certificazione sul gradi di rischio di perdita del lavoro da parte del dipendente.
Quando il datore di lavoro può rifiutarsi?
Ci sono alcuni validi motivi per cui il datore di lavoro può rifiutare la cessione del quinto ma questi, di norma, vengono stabiliti già a monte dalla banca a cui si rivolge il collaboratore. Per esempio l’assicurazione potrebbe non valutare positivamente l’azienda per via di bilanci negativi, patrimoni in passivo o ritardi di pagamenti di cessioni del quinto già attive.
Il diniego potrebbe provenire anche da un’assunzione troppo recente per la quale non vi è TFR accumulato e, dunque, poca garanzia della durata e dal tipo di contratto di lavoro e di eventuali liquidità a cui attingere in caso di insolvenza.
Altre volte accade che il dipendente abbia uno stato di salute cagionevole o che sia in procinto di passare al pensionamento. In altri casi, ancora, la società o l’azienda potrebbero essere costituite da troppo poco tempo per garantire solidità finanziaria. Tali motivazioni riguardano per lo più la banca e non il datore di lavoro che, ricordiamo, non può opporsi per legge.