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L’incremento cui abbiamo assistito nell’ultimo periodo dello smart working e telelavoro parla chiaro: più della metà degli italiani lavora da remoto. Tuttavia, non siamo all’avanguardia.
I dati ci confermano all’ultimo posto in classifica per quanto riguarda la sua diffusione. Sul 17% della media europea, infatti, noi rappresentiamo solo il 7%. Ma forse qualcosa sta ancora cambiando?
Certo, lavorare da remoto laddove praticabile è stata la manovra adottata per ridurre i rischi di contagio da Covid-19, ma ci sono buone probabilità che, indipendentemente dalla pandemia, il lavoro agile sarà il nuovo paradigma del futuro.
Differenza tra smartworking e telelavoro
Benché tutte e due prevedano il lavoro da remoto, questa similarità non deve trarre in inganno: non sono la stessa cosa, piuttosto, due facce della stessa medaglia con un unico comune denominatore.
Certo, in ambo i casi si tratta di una modalità di lavoro estremamente comoda, ma allo stesso tempo talvolta difficile da gestire. Ma, sebbene la metà ormai degli italiani lavori ormai da casa, si fa ancora molta confusione fra i due termini.
Ecco perché in quest’articolo analizzeremo nel dettaglio i concetti di smartworking e telelavoro e quali problemi comportano a livelllo organizzativo e di gestione.
Cosa si intende per telelavoro?
Con il termine telelavoro intendiamo un lavoro che può svolgere da casa grazie allo supporto tecnologico. Il lavoratore ha però delle regole da rispettare, fra cui sottoporsi ad ispezioni regolari da parte del suo datore di lavoro al fine di garantire il corretto svolgimento delle mansioni quotidiane.
La normativa che regolamenta questa tipologia specifica di lavoro dipendente segue l’Accordo Quadro 2004 stipulato tra Confindustria e i sindacati assicura ai teleworkers gli stessi diritti e doveri dei colleghi in presenza.
Si favorisce, perciò, la comunicazione fra le parti in azienda e da remoto e sono garantiti per ambo le parti le stesse opportunità di formazione e corsi mirati al corretto utilizzo della strumentazione tecnica. Ancora, per quanto riguarda gli orari di lavoro, è previsto un riposo obbligatorio ogni 11 ore su 24.
È questa, di fatto, una modalità di lavoro dipendente, tuttavia praticata al di fuori del classico ufficio grazie al supporto delle future nuove tecnologie, una situazione che potrebbe rivelare anche il suo lato negativo. Parliamo del pericoloso caso di alienazione da parte del lavoratore che si troverebbe di fatto isolato rispetto alla sede centrale.
E proprio per ovviare al problema, dicevamo siano garantiti frequenti scambi di comunicazione con la base. Riportiamo un estratto dell’art. 9 del suddetto Accordo:
“Il datore di lavoro garantisce l’adozione di misure dirette a prevenire l’isolamento del telelavoratore rispetto agli altri lavoratori dell’azienda, come l’opportunità di incontrarsi regolarmente con i colleghi e di accedere alle informazioni dell’azienda”.
In un contesto del genere la tecnologia è tutto: ecco perché la strumentazione è garantita dal datore di lavoro a cui spettano anche l’installazione e la manutenzione. Ovviamente, qualora il teleworkers disponesse di strumentazione propria può usufruirne; in ogni caso si tratta di accordi presi a monte del contratto.
Cosa s’intende per smart working?
Parliamo adesso del suo parente più prossimo: lo smart working. In realtà, la logica che li governa è la stessa nella misura in cui in entrambi i casi si lavora concretamente presso una sede decentrata.
Tuttavia, la differenza fra smartworking e telelavoro esiste, ad esempio, in ottica di orari che nel primo caso sono autodeterminati. Lo smart workers, non è vincolato ad un orario di lavoro fisso, ma può autoregolarsi.
Il grande vantaggio è proprio la flessibilità, legata a diversi fattori:
- scelta del tutto personale dell’ambiente dove svolgere il lavoro (che sia la propria abitazione, un coworking o un bar)
- la possibilità di organizzare la giornata lavorativa sulla base degli impegni quotidiani,
- il principio fondante è la qualità del lavoro finale e non la quantità di ore di lavoro impiegate.
In smartworking, il lavoratore è chiamato a portare a termine un progetto in un arco di tempo prestabilito a monte, ma senza subire un controllo costante circa la quantità di ore giornaliere dedicate. Una libertà di movimento che tuttavia va regolamentata per essere efficace e richiede la giusta organizzazione fra le parte coinvolte.
Ça va sans dire che anche in questo caso la tecnologia è indispensabile, che però fa capo ad una tendenza sempre più diffusa sotto la dicitura di BYOD (bring your own device), in relazione alla capacità di lavorare senza vincoli geografici servendosi di devices propri.
La parola d’ordine è la progettazione come risultato di un accordo che va oltre la scorta dello sviluppo tecnologico; affinché non vi siano intoppi, lo smart working richiede anche un cambiamento di tipo culturale nel rapporto fra gli attori coinvolti. Si alza il livello di responsabilizzazione da parte del lavoratore, ma cambia anche il concetto stesso di leadership da parte del datore di lavoro.