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La sicurezza sul lavoro è indispensabile per tutelare il benessere dei lavoratori, ed è compito del datore di lavoro la sua organizzazione e la scelta di un eventuale RSPP. Ma affinché un luogo di lavoro sia effettivamente sicuro servono misure ad hoc di natura preventiva che riducano al minimo il tasso di rischio in relazione al lavoro svolto come, ad esempio, visite periodiche con un medico del lavoro.
Vediamo, nel dettaglio, tutti gli aspetti legati alla sicurezza sul lavoro.
Cosa s’intende per sicurezza sul lavoro?
In base alla normativa vigente regolamentata dal D.Lgs. 81/2008 e dal D.Lgs. 106/2009, il datore di lavoro organizza e implementa tutto il sistema di messa in sicurezza dei luoghi di lavoro, ed è perseguibile penalmente in caso di inadempienza. In poche parole, è sua responsabilità assicurarsi che l’organizzazione logistica e materiale funzioni sempre.
Non solo una questione di integrità fisica, ma anche psicologica. Rientrano in questo caso, infatti, tutta una serie di comportamenti e situazioni che possono offendere la morale del lavoratore, minandone la propria integrità e violando la sfera più intima.
Quando il problema della sicurezza sul lavoro non ha a che fare con ambienti a norma di legge, ma colpisce la persona da un punto di vista psicologico, ecco che dobbiamo fare i conti con un altro elemento che può mettere in discussione la sicurezza del lavoratore sul posto di lavoro, e che rientra a pieno titolo fra gli infortuni sul lavoro.
Meglio conosciuta come mobbing, questa tipologia di violenza psicologica implica ogni comportamento persecutorio perpetuato ai danni del lavoratore, e comprendente sia atti di ostruzionismo che inficiano la qualità del lavoro da svolgere fino a sconfinare in vere e proprie aggressioni di tipo fisico se non addirittura sessuale.
Come riconoscere un comportamento di violenza psicologica sul lavoro?
Generalmente, gli atti persecutori che minano la sicurezza sul lavoro hanno uno schema ripetitivo come ad esempio:
- Continui attacchi di violenza verbale volti a sminuire le competenze del lavoratore, e che molto spesso si tramutano in vere e proprie umiliazioni pubbliche.
- Mettere in dubbio le competenze assegnando compiti che dequalificano il lavoratore (questo aspetto non è da confondere con lo “scarso rendimento” che, invece, può portare ad un licenziamento per giusta causa).
Lo scopo ultimo è tendenzialmente l’allontanamento del soggetto vessato, che di solito presenta le dimissioni per burnout.
Fra le manifestazioni di insofferenza di un lavoratore vittima di violenza psicologica figurano, stress da lavoro o comunque stati di forte ansia, che possono ripercuotersi anche sul piano fisico con una sintomatologia varia, che spazia da uno stato di malessere generale fino a casi specifici come insonnia, vertigini, palpitazioni ecc…
Cosa fare in caso di infortunio sul lavoro?
Soprattutto in caso di infortuni di carattere fisico, la prima cosa da fare è denunciare l’accaduto al datore di lavoro e recarsi subito dopo al Pronto Soccorso, dove vi rilasceranno un certificato da consegnargli.
Questo è un passaggio fondamentale, in quanto il vostro datore di lavoro è obbligato per legge a trasmetterlo a sua volta all’INAIL (Istituto Nazionale Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) nel giro di 3 giorni.
Lo step successivo è sottoporsi ad una visita medica presso gli ambulatori dell’INAIL, e sulla base della gravità dell’incidente si stabilirà quando il lavoratore può riprendere servizio.
Al lavoratore infortunato spetta un risarcimento?
Sì. La copertura assicurativa vale al 100% rispetto alla retribuzione del lavoratore per i primi 3 giorni dall’incidente, dopodiché si scala al 60% fino a 90 giorni dall’incidente e al 75% dal 91esimo giorno fino alla guarigione.
Quali sono gli obblighi del datore di lavoro e le sanzioni previste?
Per legge, il datore di lavoro è chiamato ad informare l’INAIL dell’incidente avvenuto; se all’Ente non perviene alcun certificato entro 2 giorni dall’accaduto, il datore di lavoro rischia una sanzione amministrativa fino a 7.745,00€.
Ancora sanzioni arrivano nel caso in cui il datore di lavoro inoltri in ritardo il certificato del Pronto Soccorso oppure trasmetta un errato codice fiscale del lavoratore.
Come si chiede il risarcimento per danni morali da mobbing?
Ovviamente, anche nel caso di infortuni di tipo psicologico il datore di lavoro ha l’obbligo di risarcire il lavoratore, vittima a tutti gli effetti di un infortunio sul lavoro. È compito suo, infatti, garantire ai suoi dipendenti un luogo di lavoro sano, ed intervenire in caso uno di essi subisca qualsiasi forma di persecuzione sul lavoro.
Attenzione, però, a stabilire la provenienza precisa del danno da mobbing:
- sarà di tipo verticale nel caso provenga direttamente dal soggetto gerarchicamente più in alto,
- sarà di tipo orizzontale nel caso provenga dagli stessi colleghi,
- oppure sono gli stessi dipendenti ad intraprendere azioni di mobbing verso un superiore.
In particolare, la vittima dovrà scrivere una lettera al datore di lavoro per chiedere il risarcimento da mobbing e, nel caso non riceva alcuna risposta o si veda negato il risarcimento richiesto, può fare ricordo al giudice del lavoro il quale chiederà a sua volta la perizia di un medico per l’accertamento del danno.
Generalmente, si tratta di risarcimenti patrimoniali, legati alle spese affrontate dal lavoratore per superare il danno psicologico subito, soprattutto se il lavoratore ha perso il lavoro a seguito del mobbing o si è visto ridurre lo stipendio in relazione alla casistica di demerito e dequalificazione.